Gianfranco Chiti è nato a Gignese
(VB) nel 1921.
La famiglia, dopo Milano e Londra, a fine 1925, fissò la residenza a
Pesaro, dove Gianfranco frequentò le scuole e le aggregazioni cattoliche,
orientandosi verso l’Ordine Francescano Secolare e la Conferenza di San Vincenzo
de'Paoli.
All’età di 15 anni s’iscrisse alla scuola militare di Milano trasferendosi
presto a quella di Roma e a 17 anni fu arruolato volontario con la ferma di tre
anni. Ne1 1939 entrò nella Regia Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena,
Corso Fanteria (82° "Fede"). Nel 1941 è Sottotenente in Servizio Permanente
Effettivo (S.P.E.) nell’arma di Fanteria e destinato al III Reggimento Granatieri
di stanza a Viterbo. A fine anno è mobilitato nel III Battaglione Complementi.
Il Comandante della Scuola Militare di Roma in data 9 giugno 1938, scriveva:
L’allievo Chiti Gianfranco da te segnalato, si comporta molto bene nello studio
e quindi non mancherò di seguirlo paternamente. Anche sotto il punto di vista
disciplinare sono contento di lui. Quindi tranquillizza pure sua madre.
Sui fronti di guerra
Ai primi di maggio dello stesso anno, con il XXXII battaglione controcarro, partì
per il fronte sloveno-croato, dove fu ferito a tutti e due gli occhi dalle
schegge di una granata. Successivamente fu inviato sul fronte greco-albanese.
Tornato in patria, il 16 giugno 1942 era già in Ucraina diretto al fronte russo
col terzo reggimento Granatieri di Sardegna. Il 13 agosto gli fu affidato il
comando di una compagnia di 200 uomini. Nella battaglia del 16 dicembre
nell’ansa del Don, fu ferito da schegge sulla schiena e subì il congelamento di
secondo grado agli arti inferiori. Fu decorato sul campo con medaglia di bronzo al valor militare; aveva 22 anni.
Più tardi ricorderà così quei giorni terribili: Fu soprattutto in quel
momento di grande sofferenza per i nostri soldati, per i nostri combattenti, per
i soldati impegnati su quel fronte, che trovai nella religione un motivo per
superare momenti di grande crisi, per trovare forza e incitamento a cercare di
portare il maggior sollievo possibile ai miei fratelli sofferenti di entrambe le
parti. E proprio sul fronte russo, durante il ripiegamento, tornò
insistente in lui il desiderio di entrare nell’Ordine dei Frati cappuccini.
Fu l’ultimo a ripartire per l’Italia, dopo essersi preso cura dei suoi caduti e
dei sopravvissuti. Rientrato dalla Russia il 12 maggio 1943, il giorno dopo fu
mobilitato nel XXXII Battaglione Granatieri di Sardegna Anticarro.
Il servizio reso dal sottotenente Chiti nel periodo 2 settembre 1941-20 febbraio
1943, è così elogiato dal Comandante di Compagnia Capitano De Santi Felice in
una comunicazione ufficiale del 19 agosto 1943:
Il sottotenente in s.p.e Chiti Gianfranco è stato alle mie dipendenze dal
02/08/1941 al 20/02/1942 quale comandate di plotone cannoni dal 47/32. E’
Ufficiale rispettoso, disciplinato, colto e di ottima moralità. Ha elevate
qualità di mente e di cuore. E’ di fisico robusto e resistente alle fatiche. Ha
dimostrato di avere ottime qualità di comandante di plotone e, per le sue
elevate capacità personali, per la completa cultura militare, per il sano
spirito di iniziativa che lo anima, unito dall’instancabile attività svolta in
ogni occasione al fine di migliorare sempre più la preparazione e il benessere
del reparto, è risultato un prezioso collaboratore del comandate di compagnia.
E’ un educatore ed animatore dei suoi uomini, dai quali è stimato ed ai quali sa
infondere con le sue doti spirituali il senso di attaccamento al dovere, l’amore
alla disciplina e il necessario spirito combattivo. Nei mesi di Febbraio e Marzo
1942 fu comandato a prestare servizio quale comandate, sul treno blindato n° 9
XXVII settore di copertura. Ha cosi partecipato a diversi fatti d’armi, che
meritarono la citazione sul bollettino della 2^ Armata, dimostrando sempre
ottime doti di combattente, capacità di comandate e sprezzo del pericolo. Lo
ritengo meritevole e lo propongo per un encomio.
La V Compagnia e la RSI
Dopo lo sbandamento generale seguito all’armistizio con gli anglo-americani reso
pubblico l’otto settembre 1943, e alla fuga del Re da Roma verso i territori
occupati dai nuovi alleati, a fine dicembre dello stesso anno,
nella caserma
“Ferdinando di Savoia” a Roma si organizzarono gruppi di volontari, tra i quali
la “Quinta Compagnia Studenti Volontari”, di cui Chiti fu l’animatore. Guidati
dal capitano Francesco Christin, questi giovani si spostarono nelle zone di
Velletri, Anzio e Formia in soccorso delle popolazioni vessate dai bombardamenti
degli anglo-americani. Dopo tre mesi, furono richiamati a Roma-Pietralata dalla
Federazione Fascista Repubblicana, insieme alle altre formazioni di volontari.
Il 19 febbraio 1944 si trasferirono nel Nord Italia, dove si costituì il
Battaglione di Granatieri di Sardegna, che operò soprattutto nella zona delle
langhe e dell’Emilia-Romagna (Mondovì, Dogliani, Murazzano, Villa Minozzo,
Guastalla, Ceva, Carmagnola…).
Fu proprio in questo periodo che il Chiti, a proprio rischio, mettendo in gioco
la sua persona e la sua indiscussa autorità morale, riuscì a salvare molti
civili e militari disertori dalla fucilazione e alcuni ebrei dalla deportazione.
Con quale animo il Chiti vivesse questi giorni, lo rivela una
sua lettera al cappellano militare Padre Edgardo Fei dell’8 febbraio 1945:
Carissimo Fei, non puoi immaginare con quale dolore abbia io appreso la
immane disgrazia capitata alla prima compagnia il 6 u.s. con la perdita dei
quattro bravi e cari Granatieri, specie per il buon Peppoloni; mi sembra
impossibile che sia accaduta sì grande disgrazia. Ho atteso le salme al loro
arrivo, sperando che accompagnatore ne fossi tu, e le ho poi trasportate al
cimitero a spalla con i Granatieri che sono qui con me. Al cimitero
successivamente li ho voluti rivedere per l’ultima volta e ho scoperchiato le
bare. Ho pensato, dato che vi è il mezzo e la possibilità di farlo, di metterli
in casse zincate per venerdì saranno tutti a posto, in modo che se un giorno la
famiglia li vorrà trasportare altrove avrà il doloroso lavoro assai
facilitato.[…]. Ne ho visti morire tanti, caro Fei, ma nessuno mai mi ha così
addolorato come questo; giovani ragazzi che sento di avere amato e di amare più
di me stesso. Per questo sempre ho chiesto al Signore di prendersi me, piuttosto
che uno di loro. Ma finora non sono stato esaudito. Unica consolazione il
saperli ora là in cielo nella serenità e pace eterna assieme a tanti nostri cari
indimenticabili camerati che sono con noi sempre e ovunque stimolatori,
suscitatori di energie e di volontà; il cielo accoglierà oltre ai veci alpini
anche i giovanetti imberbi granatieri della vecchia 5a compagnia che al canto di
oilì oilà sfileranno felici, mentre noi rimaniamo ancora qui con il cuore per
sempre straziato da mille inconsolabili dolori che dall’8 settembre ci hanno
tragicamente colpito. Tu, caro Fei, prega tanto per loro che dal cielo
proteggano il nostro esercito e ci concedano almeno di continuare a combattere e
morire da soldati come loro hanno saputo fare. Vado ogni giorno al piccolo
cimitero e lì posso piangere come un bimbo ed essere anche felice perché nessuno
può criticare sul mio dolore e sulla mia gioia del momento.
Arrivati gli anglo-americani nel Nord Italia, sabato 4 maggio 1945, a Baldissero,
presso Ivrea, il battaglione cui apparteneva il Chiti, si arrese con l’onore
delle armi al Corpo Volontari della Libertà.
Così racconta Piero Bianchini nel suo Diario: “[…] Alle 20
[del 3 maggio 1945] arriva il Capitano con il resto della compagnia, ci aduna
tutti in una stanza e ci parla, ci dice che la mattina (quando è andato al
comando di divisione) gli è stato annunciato che il Maresciallo Graziani ha
firmato la resa, e che gli è stato ordinato di andare a consegnarsi con tutto il
Battaglione al campo di concentramento alleato di Paolo Torre. Quindi ci dice
che di sua iniziativa, preferendo di dare le armi a degli italiani che a degli
stranieri, ha lasciato la strada nazionale e ci ha portato in questo paesetto
dove nel pomeriggio, per mezzo del parroco, si è messo in contatto con i
partigiani i quali hanno accettato la resa del nostro Battaglione. Ci ringrazia
inoltre di avergli dato sempre fiducia, e ci esorta a voler collaborare
lealmente per l’avvenire con il nuovo governo Italiano, essendo questo
necessariamente un governo di pace, di ricostruzione e soprattutto unico e
nazionale. Per il resto della notte cerchiamo di dormire alla meglio. Il 4
maggio alle ore 3 di notte ci svegliano per andare a consegnare le armi,
infatti, ci rechiamo in una osteria ove dei partigiani ci ritirano le armi e ci
lasciano in cambio un lasciapassare per tornare alle nostre abitazioni. Fatto
ciò torniamo all’asilo e dormiamo ancora per qualche ora, alle prime luci del
giorno ci vestiamo in borghese ci salutiamo e a gruppi prendiamo la strada che
dovrà ricondurci a casa.
Nei campi di concentramento
Il tenente Chiti, a differenza di altri che furono liberati, fu minacciato di
morte, rinchiuso prima nel carcere “Le Nuove” di Torino e poi deportato nei
campi di concentramento di Tombolo, Coltano e Laterina in Toscana. Nel campo di
Laterina furono reclusi i fascisti ritenuti “non liberabili” perché considerati
criminali, fra questi c’era anche Gianfranco Chiti, accusato di tradimento da
alcuni suoi ex colleghi del XXXII battaglione Granatieri di stanza a Bagnoregio
nell’agosto-settembre 1943.

Il fratello di Gianfranco, Giancarlo, in una lettera scritta da Pesaro il 29
novembre 1945 a Padre Edgardo Fei, confidente spirituale di
Gianfranco, scrive: Come Cristo nostro Signore ha trovato fra i Dodici
Eletti un Giuda che doveva tradirlo, così Gianfranco ha trovato non uno ma più
Giuda in alcuni suoi ex colleghi del XXXII Battaglione Granatieri che unicamente
spinti da risentimenti personali hanno congiurato contro di lui […]. Mio fratello
ogni qualvolta ebbi occasione di vederlo sia a Coltano che a Laterina mi
chiedeva con affetto di questi stessi che dovevano poi denunciarlo, ed anzi, in
occasione della mia andata a Firenze mi pregò di portare personalmente i suoi
saluti ad uno di questi che poi è risultato essere il maggior promotore della
denuncia.
I giorni e le notti dal 4 maggio al 20 dicembre 1945 vissuti da Gianfranco Chiti
nella miseria materiale e morale del campo, trovano il riflesso altissimo della
sua spiritualità nella corrispondenza col suo cappellano militare Padre
Edgardo Fei, come in questa lettera scritta da Laterina il 15 novembre 1945:
Mio carissimo Fei
[…] La scorsa settimana fino a ieri sono stato preso da un intorpimento generale, tanto da tralasciare perfino le orazioni la mattina e la
sera e la recita del S. Rosario. Sentivo addirittura pigrizia nel fare almeno il
segno della croce alla sera. […]. Mi ricordo, giorni fa, stavo incominciando
alla sera la recita del S. Rosario, passeggiando lungo il recinto. Ad un tratto
mi accorgo d’essere completamente distratto e di recitare le “Ave Maria”
meccanicamente. Mi cercavo di dominare, di comandare a me stesso; non ci
riuscivo. Ti confesso che mi sentivo estremamente miserabile ed infelice. Mi
buttai a terra nell’erba bagnata e piansi, piansi, e fra il pianto ricominciai a
dire: “Ave Maria …” e questa volta la dissi tutta la mia orazione preferita
provandone un vero sollievo. […]. Stanotte mi sono svegliato e nel silenzio
rotto solo dal sospiro dei miei camerati, mi è sembrato che tale sospiro fosse
un vero grido di dolore. Mi sono guardato attorno. Li ho visti tutti
raggomitolati sotto la coperta con la testa financo coperta. Sentivo un dolore
acuto nel vedere tale spettacolo di sofferenza morale e materiale. Ad un tratto
ho avuto come una visione. Nella mia mente il pensiero è corso a Gesù Benedetto,
trasudante sangue nell’orto del Getsemani. Ripensavo quando Egli rivolgendosi ai
Suoi discepoli, disse: “Statevene qui, mentre io vado laggiù a pregare”. Ma
prese con sé, se ben ricordo, Pietro, Giacomo e Giovanni, e fatto qualche altro
passo: “Fermatevi qui e vegliate con me” – disse. Ed allora, mio caro amico, mi
è sembrato d’essere lì con Pietro, Giacomo e Giovanni. E cosa mi dava questo
grande onore? Il dolore, il dolore che in questi momenti e in questi ultimi
tempi mi ha lacerato l’anima. E Gesù che me li ha mandati per chiamarsi più
accanto a Lui e per essere degno d’essere a Lui accanto nel santo Getsemani. E
sento d’essere contento di soffrire e piangere, perché soffro e piango con Lui.
E i miei dolori si confondono con quelli di Gesù Benedetto e la forza di Gesù
diviene mia forza e sostegno. Le sottolineature del testo sono sue.
In Somalia
Liberato il 20 dicembre 1945, munito del “foglio di via”, il 26 dicembre si
presentò alla questura e al distretto militare di Pesaro per regolarizzare la
sua posizione. Deferito alla Commissione Epurazione Personale Militare per aver
aderito alla RSI, la sottocommissione giudicante emise le sue conclusioni con la
delibera “di non farsi luogo al procedimento della dispensa dal servizio nei
confronti del sottotenente Chiti Gianfranco” (8 giugno 1946). Trasferito al
Comando Militare Territoriale di Napoli per il costituendo Comando delle Forze
Armate in Somalia per conto dell'ONU, il 5 febbraio 1950 s’imbarcò nel porto di
Napoli per la Somalia.
Giunto a Mogadiscio il 20 febbraio, prestò servizio con l’incarico di comandante
del Quartier Generale delle Forze Armate Somale.
Così scriveva il Maggiore Comandante del I Battaglione Somalo Elio Antenucci
del Gallacaio (Somalia) il 31 dicembre 1950 riferendosi al periodo 1 gennaio-31
dicembre 1950 circa il servizio prestato dal Chiti quale Comandante del
Quartiere Generale del C. C. S.S.:
%201953.%20Con%20l'esercito%20Somalo.jpg)
Il capitano Chiti è una figura di distintissimo e perfetto ufficiale che per
il complesso d’eccelse doti fisiche, morali, intellettuali e di comando di cui è
in possesso, emerge notevolmente dalla massa anche di ottimi suoi pari grado:
per le sue molteplici e preziose qualità difficilmente possono essere messe in
luce al completo per iscritto nel loro giusto valore. Statura alta e perfetta
prestanza militare sono accoppiate in lui ed un fisico robustissimo ed atletico,
qualità che gli hanno permesso di svolgere una gravosa attività nel clima
equatoriale della Somalia senza risentirne disagio alcuno. Ufficiale dei
Granatieri di Sardegna d’elevatissime qualità morali, concepisce realmente la
sua attività militare quale una nobile missione con la quale di dedica con un
raro entusiasmo e mistica assoluta dedizione. Il suo rigido senso del dovere non
conosce limiti, i suoi sentimenti patriottici e il suo attaccamento alle
gloriose tradizioni della sua specialità sono asceticamente radicate in lui, una
fede pura ed illimitata illumina ogni sua attività. Ineccepibile e perfetto
nella forma, distinto nei modi, calmo e ponderato nel pensare e nel decidere,
preciso e scrupoloso nell’esecuzione. D’intelligenza pronta e vivace, rapido
nella percezione facile nell’intuire, concreto nell’attuazione. Attaccato ai
superiori da vera devozione, generoso e buon collega paternamente rigido con i
dipendenti, si fa stimare ed amare da tutti. Nel comando di truppe somale ha
avuto la possibilità di mettere in gran luce le sue qualità d’ascendente e di
tatto, ed i suoi uomini, che gli sono enormemente legati, vedono in lui un padre
oltre che il vero comandante. Organizzatore perfetto e meticoloso, possiede
spiccatamente il senso dell’iniziativa e della responsabilità che non teme ma
che ricerca: nella costituzione, nell’addestramento e nel successivo impiego del
suo reparto ha messo in evidenza tali qualità ottenendo risultati veramente
encomiabili. Animatore e trascinatore dei propri dipendenti, sa trasfondere in
essi i suoi elevati sentimenti ed ha saputo formare della sua compagnia un
blocco omogeneo sul quale si può fare ogni affidamento in qualsiasi momento e
difficile situazione. Possiede una ragguardevole cultura generale ed un’ottima
preparazione tecnico-professionale, che estende con lo studio e l’applicazione.
Istruttore capace e appassionato, ha addestrato il proprio reparto in modo
perfetto con metodo e scrupolosità, conseguendo eccellenti risultati che si sono
potuti constatare in occasione delle esercitazioni a fuoco perfette. Di
constante esempio ai dipendenti nell’adempimento scrupoloso del dovere, ha
sempre lavorato con passione ed eccezionale rendimento: la sua attività è stata
sempre preziosa sia per la vita e il funzionamento iniziale del C.C. S.S., quale
comandante del Q.G., e sia per la costituzione, formazione ed impiego della 2^
compagnia somala fucilieri del I Battaglione. Ufficiale d’eccellenti doti e di
raro rendimento, che raggiunge la perfezione. Lo giudico OTTIMO capitano tiFtr.
(G) in s.p.e comandante di compagnia fucilieri somala e meritevole di vivo e
particolare elogio.
Il Comandante
Tornato in Italia il 23 giugno 1954, ebbe il comando delle scuole di guerra e
delle caserme di Cesano, Civitavecchia e Roma. Il 20 ottobre 1973 fu trasferito
alla Scuola Allievi Sottufficiali dell’Esercito a Viterbo, dove rimase come
Comandante fino al 10 gennaio 1978.
Nelle caserme e nei campi militari dei quali fu responsabile, volle sempre
un’edicola, una statua o un’immagine della Madonna e, che tra i militari ci
fosse sempre un cappellano.
Così lo ricorda un suo sottoposto, Vittorio P., in una testimonianza del 29
maggio 2007:
Era il gennaio del 1977, quando ancora in erba avevo intrapreso la vita con le
stellette nella scuola militare degli allievi Sottufficiali di Viterbo. Ogni
venerdì, presso la sala cinema, era tenuta una lezione di “azione morale”, il
cui docente era il Colonnello Comandante G. Chiti. Gli argomenti erano i più
vari, si parlava di storia, geografia, educazione civica, comportamento, ecc, il
tutto corredato da testimonianze vive che, attiravano l’attenzione della platea
in un silenzio avido nel conoscere sia il finale che il pensiero con cui erano
state affrontate le situazioni. Tutto ciò formava negli allievi, un carattere ed
una educazione, che nel tempo sarebbero stati necessari per affrontare la vita
quotidiana in quanto, ci diceva il Col. Chiti, la storia siamo noi che,
anche
con il quotidiano, la scriviamo. Ma l’evento che più mi colpì fu, quando una
mattina, attraversando il piazzale insieme con altri commilitoni, in lontananza
lo vedemmo uscire dalla palazzina del comando e rivoltosi verso di me ad alta
voce disse, “Allievo Priolo, ricordati domani di fare gli auguri a tua madre
per il suo compleanno”. E salutandomi militarmente proseguì per la sua strada.
Io rimasi colpito, come aveva fatto a ricordarsi il mio nome e la data di mia
madre? Solo col tempo trovai la risposta che era, in una assidua e certosina
osservazione e ricerca dei particolari, poteva far sì che poco poteva sfuggire
per conoscere meglio i propri dipendenti sia nei particolari belli che in quelli
brutti della vita. Durante il restante periodo della scuola, venimmo a scoprire
la generosità di quell’uomo, le sue spettanze viveri erano trasferite agli
organi di beneficenza e che parte del suo stipendio andava a favore dei più
bisognosi. Dopo anni, si seppe che Chiti, terminato il servizio militare per i
raggiunti limiti di età, attuò le sue volontà coraggiose, da alcuni canzonate,
che aveva dettato durante le sue lezioni tenute, le aveva realizzate riponendo
la divisa militare al servizio della Patria, Dio e famiglia, ed aveva preso la
divisa del frate Cappuccino, il saio, per servire, come aveva sempre fatto, al
suo ideale di disposizione verso gli altri.
La divisa e il saio
L’11 marzo 1978 fu collocato in ausiliaria per raggiunti limiti d'età, e
promosso generale di Brigata. Dopo aver passato alcuni giorni di riflessione e
di preghiera al santuario francescano della Verna, il 30 maggio entrò nel
convento dei cappuccini di Rieti in qualità di Novizio, indossando il saio
“dell’esercito di San Francesco”; aggiunse al suo nome e cognome il nome della
Madre di Dio: fra’ Gianfranco Maria Chiti.
Comunicò la sua decisione ai familiari con lettera del 19 ottobre 1978, scritta
dal convento di noviziato di Rieti. Si scusa per non averli avvertiti prima: non
lo ha fatto per timore di non farcela prevedendo la loro comprensibile sorpresa
davanti ad una decisione simile. Ed aggiunge:
Miei cari, … Quando riceverete questa lettera, io avrò già presa una impegnativa
decisione che mi avrà trasformato in un seguace di San Francesco d’Assisi
nell’amatissimo Suo Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Avrò realizzata una
aspirazione della mia giovinezza, maturatasi nel corso della vita e custodita
gelosamente nel cuore sempre ed ovunque.
Da ragazzo ebbi per la prima volta
questa “idea”, idea più volte riaffacciatasi. L’ascoltavo sempre, ma,
soprattutto vedendo ed amando voi, pensavo “se ne andrà, come é venuta”[…].In
questi ultimi mesi l’“idea” si è sempre più rinvigorita, forse anche vedendo
come va il mondo. Io non spero di cambiarlo, ma Dio può cambiarlo servendosi
anche di me. Tranquillo e fermamente deciso, ho così intrapreso la nuova strada
per percorrerla fino all’ultimo da forte e buon soldato, sicuro della sua
decisione. […] Ma ora, pur conscio della mia debolezza umana, sono fe1ice di
offrire al Signore il restante tempo concessomi, di spenderlo nel Suo Nome ed in
Sua testimonianza. Non so come poter ringraziare la Provvidenza, che me ne offre
l’occasione, mentre sono ancora dotato di forza fisica e mentale. Non potevo
meglio concludere la mia esistenza, ora che cercherò di farne un uso buono e
generoso.
Ordinato sacerdote il 12 settembre 1982, per 22 anni fu esempio di profonda
umiltà e spirito di sacrificio, edificando tutti con la calda parola della
predicazione e l’inesauribile servizio della carità fraterna, secondo il più
genuino spirito francescano.
La cronaca del convento di Rieti rievoca così l’ordinazione sacerdotale di fr.
Gianfranco:
18 agosto P. Gianfranco M. Chiti parte per Montefiore Conca (Fe) per un periodo
di silenzio e esercizi spirituali in vista della sua ordinazione sacerdotale.
Torna il 30. 5-12 settembre 1982. Ferve la preparazione per l’ordinazione
sacerdotale di P Gianfranco M. Chiti, già Generale dell’Esercito italiano. La
settimana s’indugia (?) con telefonate, telegrammi, posta, pacchi, visite e gli
auguri più disparati da ogni ceto sociale. E’ necessario bloccare un po’ tutto
per una tranquilla preparazione all’ordinazione.
12 settembre. Ordinazione
sacerdotale di fra Gianfranco M. Chiti. Avvenuta in cattedrale per ragioni di
spazio. Ordinante S. E. Mons. Amadio Francesco, Vescovo di Rieti. Fin dal
mattino si nota un pullulare di gente venuta da ogni parte d’Italia: da Trieste
a Palermo. Sono ufficiali, generali e semplici cittadini che accorrono per
rivedere il loro commilitone, il loro comandante, il loro amico e benefattore.
Tutta la città di Rieti è mobilitata per le autorità che giungono e sommamente
meravigliata del grande avvenimento. Sono presenti tanti confratelli e molti
sacerdoti diocesani con svariati cappellani militari, a cominciare dal vice
dell’Ordinario militare. La cattedrale è gremitissima di gente che a stento si
riesce a fare la processione di inizio: occorre il picchetto militare. Si
calcola che vi siano oltre 2.00 persone. La cerimonia viene ripresa dalla TV
nazionale e da quella locale “Rete 2000”, oltre a tanti altri fotografi venuti
da ogni parte. La funzione inizia alle ore 11, 05 e finisce alle 13,30. Per
liberare l’ordinato sacerdote novello dalla ressa degli amici e ammiratori è
stato necessario ordinare la scorta militare. Tanto basta per dire l’importanza
e la solennità di tale avvenimento. E’ una vera e propria apoteosi della grazia
di Dio!
La ricostruzione completa del convento dei Cappuccini ad Orvieto, da lui
realizzata, e reso disponibile all’accoglienza di tutti, è testimonianza
concreta del suo intraprendente ed instancabile amore alla santità e al bene del
prossimo.
Padre Gianfranco M. Chiti così riassumeva il percorso della sua vita, in una
lettera del 20 aprile 1980, inviata al Serra Club di Viterbo:
E sia concesso proprio a me, arrivato finalmente alla casa del Signore, al porto
desiderato, di sottolineare la bellezza di una vita interiormente consacrata a
DIO nell'incomparabile felicità dell'offerta totale di sé a LUI. Proprio a me,
che a 58 anni di età, divenuto seguace di San Francesco di Assisi nell'Ordine
dei Frati Minori Cappuccini, ho potuto realizzare un'aspirazione della mia giovinezza, maturatasi nel corso della vita e custodita gelosamente nel cuore
sempre e dovunque.
Da ragazzo ebbi, infatti, per la prima volta questa «idea», idea più volte
riaffacciatasi: l'ascoltavo ma pensavo «se ne andrà come è venuta», «è un'idea
pazza» e che non avrei fatto alcunché di male a non darle retta. Ma l'idea non
se ne andò, anzi subito dopo il distacco dall'Esercito e dalla cara Viterbo,
riudii l'appello del Signore quanto mai insistente. Avevo sentito una voce nel
cuore sin da ragazzo: le ho ubbidito da vecchio, ecco è tutto qui. Tranquillo e
fermamente deciso ho così intrapreso la nuova strada per percorrerla fino
all'ultimo come bravo e buon soldato sicuro della sua decisione. E oggi, pur
conscio della mia umana debolezza, sono felice di offrire al Signore il restante
tempo concessomi, di spenderlo nel suo Nome ed in sua testimonianza. Non potevo
meglio concludere la mia esistenza, ora che cercherò di farne un uso buono e
generoso. Lasciato così, dopo 43 anni, il servizio attivo nell'amato Esercito
Italiano, sono passato al servizio del più grande dei Re, senza incertezze,
anche perché è il Signore stesso l'unico artefice di quanto avvenuto: “Allora
Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò, e gli disse vieni e seguimi.
In seguito ad un incidente stradale, nel luglio del 2004, Padre Gianfranco Maria
Chiti venne ricoverato presso l’Ospedale militare romano del “Celio” dove morì
il 20 novembre. Il 28 febbraio 1976 aveva scritto il suo testamento nel quale si legge
come avrebbe desiderato che fossero i suoi funerali: Sarebbe mio desiderio che
nel giorno della mia sepoltura fosse celebrata la Santa Messa in latino,
possibilmente la Santa Messa degli Angeli o Cum Jubilo con i paramenti
sacerdotali bianchi con coro e organo, a gloria di Dio e di Maria Santissima.
Ringrazio tutti i miei cari congiunti del bene che mi hanno voluto e di quanto
(ed è tanto) mi hanno sempre donato ed elargito a piene mani, e con grande
amore. Che Dio li assista, li benedica e ci unisca a lui!
La salma, dopo i solenni funerali nel Duomo di Orvieto presieduti dal Vescovo
diocesano alla presenza di numerosissimo popolo e delle autorità militari, è
stata traslata nella cappella di famiglia a Pesaro.

L’otto maggio 2015 il Vescovo di Orvieto, Mons. Benedetto Tùzia, ha introdotto
ufficialmente la Causa per la sua beatificazione e canonizzazione. Il 30 marzo
2019 conclusione del processo
di Beatificazione e Canonizazione con i plichi contenenti la documentazione
raccolta dalla Commissione dell’inchiesta diocesana.

Così che Gianfranco Chiti, oltre i titoli della carriera militare e quelli
religiosi, ora ha anche il titolo di “Servo di Dio”. In seguito, se gli sarà
riconosciuto dal Papa l’esercizio eroico delle virtù cristiane e religiose, avrà
il titolo di “Venerabile”. Sarà quindi dichiarato “Beato” e “Santo”, se il
Signore confermerà la santità della sua vita con “miracoli” ottenuti per sua
intercessione.
